Lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro rappresenta un grave atto di insubordinazione e lede il vincolo fiduciario, legittimando il licenziamento per giusta causa
data: 04.03.2022
Area: Diritto del Lavoro
Un comportamento illecito, anche se di durata temporale limitata e dal quale non è derivato un pregiudizio concreto per il datore di lavoro, è idoneo a ledere il vincolo fiduciario.
La vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione riguardava un impiegato con mansioni di Area Manager, al quale erano stati contestati, oltre a un calo di produttività, fatti di rilievo disciplinare quali: l’avere portato sul luogo di lavoro per commercializzarli capi di biancheria intima; l’essersi recato in due occasioni durante l’orario di lavoro presso un esercizio commerciale del quale era socio.
In una prima fase, i giudici di appello avevano ritenuto provato lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro ma escluso che la condotta fosse di gravità tale da giustificare il recesso.
La Suprema Corte, invece, ha ritenuto legittimo il licenziamento posto che un comportamento illecito, anche se di durata temporale limitata e dal quale non è derivato un pregiudizio concreto per il datore di lavoro, è idoneo a ledere il vincolo fiduciario, potendo tale effetto ricondursi a qualsiasi condotta capace di porre in dubbio il corretto futuro adempimento della prestazione, dovendo ulteriormente esigersi il rispetto dei canoni di correttezza e buona fede da parte di chi, in ragione della qualifica posseduta, svolge la prestazione al di fuori della diretta sfera di controllo di parte datoriale.
Ciò in quanto lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, seppure in un settore non interferente con quello curato dal datore, è astrattamente idoneo a ledere gli interessi di quest’ultimo, se non altro perché le energie lavorative del prestatore vengono distolte ad altri fini e, quindi, finisce per essere non giustificata la corresponsione della retribuzione che, in relazione alla parte commisurata alla attività non resa, costituisce per il datore un danno economico e per il lavoratore un profitto ingiusto.
Lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro rappresenta un grave atto di insubordinazione e lede il vincolo fiduciario, legittimando il licenziamento per giusta causa
data: 04.03.2022
Area: Diritto del Lavoro
Un comportamento illecito, anche se di durata temporale limitata e dal quale non è derivato un pregiudizio concreto per il datore di lavoro, è idoneo a ledere il vincolo fiduciario.
La vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione riguardava un impiegato con mansioni di Area Manager, al quale erano stati contestati, oltre a un calo di produttività, fatti di rilievo disciplinare quali: l’avere portato sul luogo di lavoro per commercializzarli capi di biancheria intima; l’essersi recato in due occasioni durante l’orario di lavoro presso un esercizio commerciale del quale era socio.
In una prima fase, i giudici di appello avevano ritenuto provato lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro ma escluso che la condotta fosse di gravità tale da giustificare il recesso.
La Suprema Corte, invece, ha ritenuto legittimo il licenziamento posto che un comportamento illecito, anche se di durata temporale limitata e dal quale non è derivato un pregiudizio concreto per il datore di lavoro, è idoneo a ledere il vincolo fiduciario, potendo tale effetto ricondursi a qualsiasi condotta capace di porre in dubbio il corretto futuro adempimento della prestazione, dovendo ulteriormente esigersi il rispetto dei canoni di correttezza e buona fede da parte di chi, in ragione della qualifica posseduta, svolge la prestazione al di fuori della diretta sfera di controllo di parte datoriale.
Ciò in quanto lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, seppure in un settore non interferente con quello curato dal datore, è astrattamente idoneo a ledere gli interessi di quest’ultimo, se non altro perché le energie lavorative del prestatore vengono distolte ad altri fini e, quindi, finisce per essere non giustificata la corresponsione della retribuzione che, in relazione alla parte commisurata alla attività non resa, costituisce per il datore un danno economico e per il lavoratore un profitto ingiusto.